In Messico, Dolphinaris, il delfinario considerato come il terzo in ordine di grandezza ha chiuso i battenti due anni fa e nessuno se ne è accorto. Una simile notizia sarebbe dovuta comparire ovunque sui social media, visto che si trattava di una vittoria per il movimento contro la cattività, e invece è passata con poco più di un paio articoli online.
Dolphinaris ha concluso un accordo con The Dolphin Company per la vendita dei suoi quattro delfinari e del delfinario di Ventura, in precedenza parte del gruppo Dolphinaris.
Perché Dolphinaris avrebbe dovuto liberarsi un'attività redditizia, vi chiederete?
Perché, in realtà, si tratta di un’attività tutt’altro che fiorente.
Come molti di coloro che ci seguono sanno bene, Dolphin Freedom (in origine Delfines En Libertad) è presente in Messico dal 2011 per monitorare e condurre campagne contro il business della cattività . Quando abbiamo iniziato il nostro monitoraggio i parchi marini erano affollatissimi. I delfini si esibivano senza sosta con enormi gruppi di turisti, eseguendo di continuo “spinte dai piedi” o “nuotate a pancia in su”, ecc. I parchi straripavano di visitatori rumorosi, con orde di bambini che correvano ovunque e pullman che di continuo accompagnavano i turisti nel corso dell’intera giornata. Da allora, più o meno ogni anno siamo entrati nei delfinari per tenerci aggiornati sulle pratiche correnti. Negli ultimi cinque anni abbiamo notato un costante calo di turisti. Senza dubbio l'industria ha subìto l'effetto BlackFish, oltre al fatto che alcuni grandi tour operator, come Thomas Cook ed Expedia, hanno smesso di firmare contratti con i delfinari. La perdita dei contratti con i tour operator deve essere stato un duro colpo per l'industria messicana. I parchi sono diventati più tranquilli e silenziosi e abbiamo notato che, in alcune occasioni, per la durata dell’’intera giornata i delfini non svolgevano alcuna attività. Sia ben chiaro, ciò non indica che i delfini si stiano divertendo. Significa che riposano svogliatamente a pelo d'acqua, avviliti, annoiati a morte, oppure carichi di aggressività per lo stress causato dalla vita che sono costretti a condurre.
Quest'anno abbiamo visitato il delfinario di Riviera Maya, uno degli ex parchi marini di Dolphinaris recentemente acquisiti da The Dolphin Company. In realtà, prima della vendita, la struttura è rimasta chiusa per diversi mesi. L'abbiamo visitata nei weekend dell’alta stagione, generalmente i più affollati della settimana, e siamo rimasti scioccati da ciò che abbiamo scoperto. Siamo arrivati di mattina e nell'intero parco non si vedeva un solo turista. I delfini erano nelle vasche, il parco era aperto e al completo di personale, ma nessuno aveva comprato il biglietto. Avevamo il delfinario tutto per noi.
Siamo entrati in vasca con i delfini mantenendo la nostra interazione poco invasiva. Abbiamo rifiutato la spinta dai piedi e la nuotata con il delfino a pancia in su e ci siamo limitati ad accarezzare quei poveri animali.
Mentre ce ne stavamo andando, per la sessione di mezzogiorno è arrivato un gruppo di turisti composto all’incirca da otto persone, due delle quali stavano solamente osservando. Tredici anni fa, quando l’abbiamo visitata per la prima volta, questa struttura attirava tre le duecento e le trecento persone al giorno. Oggi, anche in alta stagione, sembra attirare al massimo venti o trenta persone.
È la dimostrazione che ormai quasi nessuno vuole più nuotare nelle vasche dei delfinari, e allora viene da chiedersi: perché la Dolphin Company dovrebbe acquistare un gruppo di delfinari sull’orlo del fallimento? Quale incentivo ci sarebbe ad acquisire una catena di delfinari che, a detta di tutti, avrebbe dovuto chiudere i battenti?
Quando si fanno campagne sul campo in Quintana Roo, la regione cuore dell'industria dei delfinari in Messico, si sentono molte "voci" su questa industria. Sono molte le parole che si sussurrano sottovoce: catture illegali, lo scarico di carcasse di delfini morti (provate a controllare sotto il Lazy River Ride del Ventura Park), delfini che uccidono gli addestratori, delfini che uccidono i bambini e ogni sorta di scandalo.
Una delle voci che circolano di continuo, anno dopo anno, rivela che The Dolphin Company sia in realtà una copertura per il riciclaggio di denaro sporco. Ovviamente non possiamo confermare se ciò sia vero o meno. Quando per la prima volta abbiamo avuto notizia di una simile possibilità, i parchi erano in piena espansione e i guadagni erano enormi, pertanto abbiamo pensato che fossero solo voci infondate. Eppure, quando vai al delfinario e sei letteralmente l'unico visitatore al suo interno, non puoi fare a meno di chiederti come quelle strutture possano permettersi di rimanere aperte.
Esaminiamo ora le prove a sostegno della tesi secondo al quale Eduardo Albor, il proprietario della Dolphin Company, stia riciclando denaro.
Innanzitutto, il suo nome compare nei Paradise Papers, sebbene le informazioni non siano ancora state rese pubbliche. I Paradise Papers sono un insieme di oltre 13,4 milioni di documenti elettronici riservati, giunti attraverso una fuga di notizie ad alcuni giornalisti tedeschi, relativi ad investimenti offshore. Alcuni dettagli sono stati resi pubblici il 5 novembre 2017 e sono ancora in corso di pubblicazione. I dettagli su Albor non sono ancora venuti alla luce, ma è certo che il suo nome sia presente nell'elenco.
In secondo luogo, Albor possiede delfinari in alcuni dei più noti paradisi fiscali della regione, come le Bahamas, le Isole Vergini e le Isole Cayman. È anche proprietario di diverse strutture in Messico, che tutti sanno avere un'enorme presenza di narcotrafficanti e una storia di corruzione endemica.
Questo significa che potrebbero esserci molte persone e molte entità che necessitano di riciclare denaro sporco. Albor possiede aerei e yacht privati oltre a mezzi di terra: si tratta di veicoli che viaggiano regolarmente tra i Caraibi, il Messico e, potenzialmente, Miami, in Florida. In Messico, dicono di "effettuare scambi di delfini" tra i vari parchi perché non vogliono che gli animali si annoino, ma è sorprendente sapere che si preoccupano tanto della salute mentale dei delfini, considerando che li tengono confinati in piccole vasche 24 ore su 24, 7 giorni su 7. È vero che trasportano i delfini, li abbiamo visti con i nostri occhi mentre li scaricavano nelle vasche nel cuore della notte, ma allora ci viene anche da chiederci cos'altro potrebbero trasportare su quegli aerei e su quegli yacht privati.
Magari denaro contante?
In terzo luogo, Albor gestisce delfinari che non hanno clienti.
Ancora una volta, non siamo in grado di confermare la verità di tutto ciò, tuttavia lo troviamo piuttosto interessante…
E se dovesse essere vero, chiamiamo a raccolta tutti gli hotel che hanno stipulato dei contratti con Eduardo Albor, come per esempio la catena Barcelò, e chiediamo loro di smettere per sempre di promuovere, sui loro siti, questi delfinari e tagliare completamente i ponti con la società di Albor. Quando, e se tutto questo verrà alla luce, nessuna compagnia (come la catena Barcelò) sarà orgogliosa di vedere la propria immagine legata, e coinvolta, in uno scandalo fiscale di tale portata.
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